Bartoli Adolfo

BARTOLI,​​ ADOLFO

 

di Amedeo Benedetti

 

 

Adolfo Bartoli, tra i maggiori studiosi di storia della letteratura del suo tempo,​​ nacque il 19 novembre 1833 a Fivizzano, dal tipografo e stampatore​​ Agostino,​​ e​​ da​​ Adelaide Agostini Trombetti.​​ 

All’età di undici anni fu inviato a Firenze,​​ per​​ frequentare le Scuole Pie, uno dei migliori istituti fiorentini dell’epoca, per tornare poi nel 1848​​ a Fivizzano, a studiare Umanità.

Per volere del padre, nel novembre 1851 Adolfo​​ passò a studiar legge al Pubblico Studio di Siena​​ (le Università senese e pisana erano state all’epoca soppresse per opportunità politica dal Governo Granducale, e sostituite dall’Università Toscana, formata dai Pubblici Studj di Pisa e Siena).

Lo studio della Giurisprudenza, comunque, mal si confaceva con le aspirazioni del Nostro, che confessava:

 

Non mi appassionai che per l’Economia; del resto, assaporai con voluttà la vita dello studente e molto più di Giustiniano amai le facili donnine e i cavalli: l’Italia e le lettere restavano un ideale, che cedeva pur troppo il posto alle seducenti realtà della vita.​​ (A. Bartoli, “Le lettere d’un beato”, ne​​ Il primo passo. Note autobiografiche, Firenze, Carnesecchi, 1882, p. 14).

 

Disertava​​ comunque spesso​​ le lezioni di Diritto per chiudersi nella Biblioteca di Siena a trascrivere antichi manoscritti.​​ Si laureò in Legge​​ nel​​ 1855,​​ e l’anno successivo​​ iniziò​​ la sua carriera letteraria​​ pubblicando​​ le​​ Lettere del​​ Beato Colombini​​ presso la casa editrice Balatresi di Lucca.​​ E sempre a Lucca​​ svolse il periodo di praticantato d’avvocatura.​​ 

Il desiderio di occuparsi stabilmente​​ di letteratura,​​ lo portò a rivolgersi​​ a Giovan Pietro Viesseux​​ (Oneglia, 1779 – Firenze, 1863), che lo chiamò a Firenze come​​ segretario e compilatore della rivista «Archivio Storico Italiano»,​​ venendo a contatto con personalità quali​​ Carlo Milanesi, Gino Capponi, Raffaele Lambruschini, Pietro Capei, Cosimo Ridolfi.

Ma della nuova situazione sistemazione fiorentina, apparve presto assai scontento.​​ Gli fu proposto da parte del barone Alfredo di Reumont, diplomatico prussiano, di assumere la cattedra di letteratura italiana all’Università di Vienna; ma egli rifiutò, nonostante il congruo trattamento economico, per ripugnanza a servire l’Austria.

Nel 1859 pubblicò le​​ Vite di Uomini illustri del secolo XV, scritte da Vespasiano da Bisticci​​ (Firenze, Barbèra),​​ correggendo gli errori e le incoerenze dell’edizione precedente curata da Angelo Mai, ed il trattato​​ Dell’Arte istorica​​ del sarzanese Agostino Mascardi, opera vecchia di due secoli ma che il Bartoli riteneva ancora valida per i suoi criteri​​ informativi della storiografia.

Continuarono intanto a manifestarsi i segni tangibili della natura irrequieta ed instabile dello studioso lunigianese, perennemente tesa alla ricerca di miglioramenti economici e di carriera.​​ Nell’ottobre 1859​​ abbandonò​​ infatti Firenze, senza alcun preavviso, per l’incarico di preside presso il Liceo di Alessandria.

Nei primi mesi del 1860, alla vigilia delle annessioni, Fivizzano (allora formante un collegio a sé con Tresana e Mulazzo, aggregato all’Emilia) offrì al Bartoli la candidatura al Parlamento; egli l’accettò,​​ ma alla vigilia delle elezioni ci si accorse che al Bartoli mancava l’età minima voluta dallo Statuto, ed il collegio di Fivizzano elesse così Giuseppe La Farina.

Alla fine del 1860, il fivizzanese venne nominato professore di Storia nel Liceo di Livorno,​​ ma la città labronica non offriva allo studioso nessun ausilio per la prosecuzione dei suoi studi, e numerosi furono i tentativi compiuti da Bartoli per lasciare​​ presto​​ la città.

Nel 1863 fu pubblicato un altro suo contributo di carattere filologico, i​​ Viaggi di Marco Polo​​ (Firenze, Le Monnier),​​ dedicati a Nicolò Tommaseo, del quale Bartoli ammirava le doti d’italianità e di patriottismo non meno di quelle letterarie.

Il cumulo degli incarichi​​ (lo studioso​​ aveva ottenuto anche​​ la​​ direzione​​ della Scuola di Marina)​​ ed il peso della preparazione dei suoi libri, costrinsero Bartoli a non occuparsi seriamente dell’insegnamento,​​ ed a chiedere​​ nel 1866 un anno di aspettativa senza stipendio.

L’anno seguente​​ Bartoli​​ venne trasferito a Piacenza,​​ altra piazza purtroppo priva di un ricco​​ patrimonio librario che​​ gli abbisognava per le sue​​ ricerche.​​ 

Nella ricorrenza del ventennale della morte del grande piacentino Giordani​​ (Piacenza, 1774 – Parma, 1848), di cui era sempre stato grande ammiratore, Bartoli lesse il 17 marzo 1868​​ il discorso commemorativo, poi pubblicato​​ (Pietro Giordani, Piacenza, Vincenzo Porta, 1868).​​ 

Nello stesso​​ 1868​​ uscirono​​ anche​​ Il libro di Sydrach​​ (Bologna, Romagnoli),​​ una sorta di enciclopedia medievale astrologico – scientifico – popolare,​​ ed​​ il saggio​​ Degli studi e delle scuole in Italia​​ (Piacenza, Marchesotti),​​ stampato a proprie spese.​​ 

Concorse​​ poi​​ per una cattedra alla R. Scuola di Commercio di Venezia,​​ che vinse con facilità, passando nel capoluogo veneto​​ nel 1869.​​ Bartoli non perse la grande occasione di approfittare del formidabile patrimonio librario locale. Lavorò infatti con molto profitto alla Biblioteca Marciana ed all’Archivio dei Frari, come si rileva dalla sua produzione successiva​​ (cfr. A. Benedetti,​​ Adolfo Bartoli a Venezia, in “Archivio Veneto”, serie V, vol. CLXXIII, 2009, pp. 59-68).

L’ambiente culturale veneziano portò un​​ marcato​​ cambiamento nell’attività di Bartoli:

 

Si può affermare che dal 1870 in poi, anche se non viene a mancare il suo interessamento per le edizioni dei testi, gli studi del Bartoli assumono una fisionomia più precisa nel campo della storiografia letteraria propriamente detta.​​ (A. Greco, “Adolfo Bartoli”, ne​​ I Critici, Milano, Marzorati, I, 1964, p. 349).

 

Infatti proprio nel periodo veneziano, nel 1871,​​ furono pubblicati a fascicoli​​ I primi due secoli della letteratura italiana, che usciranno in volume solo dieci anni dopo, nella “Storia letteraria d’Italia” della Vallardi, diretta da Pasquale Villari.​​ L’opera, densissima di fatti, note, citazioni, fu comunque un’autentica rivelazione:

 

fu anche una rivoluzione pel più dei nostri studiosi e insegnanti, in un tempo nel quale per le scuole […] e per le mani delle persone colte correvano, ammirate, imitate, copiate, manipolate in tutte le salse, le storie del Maffei, del Settembrini e del De Sanctis, le quali, pel periodo più antico, riboccano di […] errori.​​ (V. Cian, necrologio di A.B., in “Gazzetta Letteraria”, a. XVIII, 1894, n. 72, pp. 246-247).

 

La novità ed il primato del Bartoli nell’argomento trattato nei primi fascicoli venivano subito riconosciuti anche dall’altro grande rappresentante del “metodo storico” in letteratura, Alessandro D’Ancona, cattedratico a Pisa:

 

Il Signor Bartoli è il primo che, trattando di cotesto periodo letterario, si è giovato di tutto ciò che sul suo soggetto è finora stato messo fuori così in Italia come oltr’alpe, non contentandosi di conoscerlo soltanto nelle opere di alcuni pochi più generalmente noti ed illustri, o di studiarlo nel​​ Manuale​​ di Vincenzo Nannucci.​​ Egli conosce tutti gli scritti di cotesta età che sono stati posti a luce, e taluni anche fra gl’inediti; come conosce tutte le ricerche critiche o storiche, generali e parziali, sulla nostra antica letteratura, non che su quelle forme della prisca letteratura di altri popoli che hanno rassomiglianza di aspetto e di svolgimento colle nostrali.​​ (A. D’Ancona,​​ Recensione a I primi due secoli della letteratura italiana, per Adolfo Bartoli, in “Nuova Antologia”, I° ottobre 1871, p. 444).

 

I primi fascicoli de​​ I primi due secoli, derivati com’erano dagli studi originali condotti da Bartoli sui testi delle origini, ponevano di colpo il fivizzanese in una posizione di preminenza in quel settore della storia della letteratura italiana, qualificandolo come maestro e caposcuola della cosiddetta “Scuola storica” italiana.​​ 

Ai riconoscimenti critici accennati seguì immediatamente la pubblicazione di una nuova rivista, fondata dallo studioso fivizzanese unitamente a Rinaldo Fulin nel 1871: l’“Archivio Veneto”.​​ Si trattava quindi di una raccolta di documenti originali, inediti, dimenticati.​​ 

Sempre nel 1871 vennero​​ pubblicati​​ gli​​ Scritti vari editi ed inediti di G.B. Adriani e di Marcello suo figliolo​​ (Bologna, Romagnoli),​​ nei quali Bartoli attribuiva a Giambattista Adriani il ruolo di continuatore della​​ Storia d’Italia​​ del Guicciardini, contrariamente all’opinione comune che l’assegnava al figlio Marcello.

Nel 1874​​ Bartoli​​ arrivò​​ a Firenze, chiamatovi​​ da Pasquale Villari (Napoli, 1826 – Firenze, 1917) alla prestigiosa cattedra di Storia della letteratura italiana nel R. Istituto di Studi Superiori, istituto fondato dal governo Ricasoli con decreto del 22 dicembre 1859 con lo scopo di completare sul terreno pratico e speculativo gli studi universitari.

Le​​ sue pubblicazioni uscirono con un ritmo più veloce rispetto al recente passato: nel 1875 apparve​​ L’evoluzione del Rinascimento​​ (Firenze, R. Ist. Studi Sup.),​​ e l’anno successivo​​ I precursori del Boccaccio e alcune sue fonti​​ (Firenze, Sansoni),​​ nel quale, nonostante il titolo e la moda vigente, Bartoli precisava come le ricerche delle fonti avessero un interesse limitato al fine della comprensione delle opere letterarie.​​ Nel 1878 iniziava​​ anche​​ la pubblicazione della sua opera più importante, vasta ed impegnativa: la​​ Storia della letteratura italiana, per i tipi della Sansoni; lavoro colossale, considerato a ragione « il maggior sforzo di sistemazione storico-letteraria possibile alla critica positivistica italiana »​​ (A. Greco, “Adolfo Bartoli”, ne​​ I critici, ​​ I, Milano, Marzorati, 1964, p. 352), rimasto purtroppo incompiuto.​​ 

La visione fortemente illuministica ed anticlericale dell’autore emergeva molto netta, specialmente nel considerare l’ascetismo medievale come manifestazione delirante e tipica dei “secoli bui”.​​ 

 

Certe esagerazioni passionali e semplificazioni schematiche che ne derivano, furono notate dagli stessi compagni di viaggio della “scuola storica”, a cominciare dal D’Ancona; e il Croce, d’altra parte, osservando quanto poco fosse chiara al Bartoli « l’idea di una storia letteraria », lo definirà « il gran nemico dell’ascetismo dentro e fuori della letteratura ». Così un lavoro d’impianto erudito, tanto ricco di nuova documentazione, e inteso a rendere conto « dello stato attuale della scienza nel campo della storia letteraria italiana », appare viziato concettualmente da un errore d’impostazione, da un pregiudizio che l’accompagna in tutti i suoi capitoli.​​ (A. Greco,​​ op. cit., p. 354)

 

Nel 1879 fu pubblicato anche il secondo volume della​​ Storia,​​ La poesia italiana nel periodo delle origini, dove lo spirito anticlericale dell’autore si attenuava, ed un migliore equilibrio governava la consueta ricchezza di documenti.

Instancabilmente, Bartoli allo stesso tempo esplorava sistematicamente, per la prima volta, i manoscritti della Biblioteca Nazionale di Firenze, e ne promuoveva il catalogo, iniziandone la pubblicazione tra il 1878 ed il 1885.

Nel 1880 veniva edito anche il terzo volume della​​ Storia,​​ La prosa italiana nel periodo delle origini, un notevole studio circa gli influssi del francese sulla nostra lingua e sul​​ Novellino, anche se in parte offuscato dalla parziale incomprensione per l’opera di Guittone.

Lo studioso pubblicava​​ inoltre​​ gli​​ Scenari inediti della Commedia dell’arte​​ (Firenze, Sansoni),​​ opera riportante gli appunti inediti di 22 commedie, ed un’ampia introduzione ricca di informazioni biografiche e bibliografiche, testo ancor oggi per molti aspetti basilare sull’argomento.

Uscivano finalmente in volume anche​​ I primi due secoli della Letteratura Italiana, già pubblicati in dispense dieci anni prima. L’opera che in fascicoli aveva rappresentato un decennio prima grande novità, usciva ora in volume ormai invecchiata.​​ 

Nel 1881, veniva intanto​​ edito il quarto volume della sua​​ Storia,​​ La nuova lirica toscana, che raccoglieva – come sempre – un’imponente massa di materiali.​​ È in questo libro la sua teoria (che scatenò tante polemiche) circa l’inesistenza di Beatrice come personaggio storico, in favore della tesi di un personaggio ideale, creato dall’Alighieri.

Del 1884 è la pubblicazione della​​ Vita di Dante, quinto volume della​​ Storia, nel quale Bartoli distrusse una grande quantità di tesi (principalmente di Carlo Troya e di Cesare Balbo) riguardanti il nostro massimo poeta, tanto da meritarsi la fama di “demolitore”:

 

Nel tomo V,​​ La vita di Dante, si esamina un’ingente quantità di notizie, ma poche emergono sicure in un mare d’incertezze. “Procedé” scrive di lui G. Mazzoni “con maggiore voglia e baldanza di demolire che di ricostruire”. ​​ Giudizi di particolare rilievo: la non autenticità delle​​ Epistolae​​ e della​​ Quaestio. Così ancora nel tomo V, sulla​​ Commedia, le indagini sui demoni, i mostri, gli angeli, i personaggi, il calendario, la struttura del poema, e su altri argomenti sono sottili, ma poco conclusive; vi emerge l’idea della continuità della​​ Vita Nuova​​ e del​​ Convivio​​ nella Commedia, una certa riabilitazione del Paradiso, ma anche una discutibile denunzia delle pecche di Dante (eccesso di similitudini, trazione della rima, ecc.). Invero tanta mole di lavoro su Dante risulta dispersiva e in fondo debole per l’assenza di un’idea centrale.​​ (S. Vazzana, “Bartoli, Adolfo”,​​ Enciclopedia Dantesca, Roma, Istituto Enciclopedia Italiana, I vol., 1970, p. 523).

 

Rimane comunque inconfutabile che, in quell’occasione, lo storico fivizzanese dissipò non pochi errori relativi alla vita dell’Alighieri, il più famoso dei quali riguardava la famosa lettera “inviata” da Dante a Guido da Polenta, e che Bartoli dimostrò falsa, creata da Anton Francesco Doni nel 1547.​​ 

Nel 1884 fu​​ pubblicato anche il settimo volume della​​ Storia, su​​ Francesco Petrarca, poeta nel quale Bartoli vedeva un’anticipazione dell’uomo moderno, melanconico, ammalato di isterismo e di nevrosi.​​ 

Nel 1887, fuori dal normale ordine cronologico,​​ uscì la prima parte del sesto volume della​​ Storia,​​ intitolato​​ Le opere di Dante Alighieri. Proprio mentre quest’opera di Bartoli veniva pubblicata, la sua fama di dantista venne scossa dalla scoperta di un suo allievo, Luigi Rocca, che l’anno precedente aveva trovato in Inghilterra fra i codici Asburham il commento alla​​ Divina Commedia​​ di Pietro, figlio di Dante, il quale nelle sue chiose sull’Inferno ricordava come Beatrice fosse una fanciulla fiorentina della famiglia Portinari.

La teoria dello studioso lunigianese, circa l’inesistenza storica del personaggio di Beatrice, cadeva.​​ È​​ facile intuire quale colpo Bartoli sentisse portato al proprio prestigio.

Nel 1888​​ lo studioso​​ fu tra i fondatori della “Società Dantesca Italiana”, e partecipò – nel Consiglio direttivo di tale istituzione – alla scelta delle edizioni critiche delle opere di Dante.

L’anno seguente​​ venne pubblicata​​ pure​​ la seconda parte del sesto volume della​​ Storia, dal titolo​​ Delle opere di Dante Alighieri, incentrata soprattutto sulla​​ Divina Commedia.

Non ne sarebbero usciti altri.​​ 

Sono ancora del 1889 le​​ Tavole Dantesche ad uso delle scuole secondarie, utili sinossi per lo studio della​​ Commedia, in seguito perennemente copiate e riproposte in ogni libro didattico sul poema dantesco.

Il 1889 fu anche l’anno in cui un’apoplessia costrinse Bartoli a rallentare la consueta febbrile attività.

Il 23 dicembre 1893 Adolfo Bartoli divenne socio corrispondente dell’Accademia della Crusca. Gravemente ammalato, si trasferì​​ a Genova, per star vicino ed essere accudito dall’amatissima figlia, residente nel capoluogo ligure.​​ Ed a Genova morì, per un nuovo assalto del male che già l’aveva colpito, la notte del 16 maggio 1894.

 

 

Opere principali:

I primi due secoli della letteratura italiana, Milano, Vallardi, (1871, in dispense); (1881, in volume);

I precursori del Boccaccio e alcune delle sue fonti,​​ Firenze,​​ Sansoni, 1876;​​ 

I precursori del Rinascimento,​​ Firenze, Sansoni, 1876;

Scenari inediti della Commedia dell’Arte, Firenze, Sansoni, 1883;

Storia della letteratura italiana,​​ 7 voll., Firenze, Sansoni, 1878-1889.

 

Bibliografia:

GIOVANNI​​ SFORZA,​​ Continuazioni e aggiunte alla ‘Biblioteca Modenese’ di G. Tiraboschi, in “Atti e memorie della R. Deputazione di Storia patria per le Provincie Modenesi”, s. 6, I (1908),​​ pp. 98-128;

RODOLFO​​ RENIER, “Adolfo Bartoli”, in​​ Dante e la Lunigiana, Milano, Hoepli, 1909, pp. 451-476;

FERDINANDO​​ NERI, “La Scuola del Bartoli”, in​​ Rivista​​ d’Italia”,​​ XVI, 2 (1913), pp. 673-692;

GIOVANNI​​ GETTO,​​ Storia delle storie letterarie, Milano, Bompiani, 1946, pp. 292-295.

AULO​​ GRECO, “Adolfo Bartoli”, ne​​ I Critici, Milano, Marzorati, I, 1964, pp. 345-379;

ALBERTO​​ ASOR​​ ROSA, ''Adolfo Bartoli, in​​ Dizionario Biografico degli Italiani,​​ vol. 6,​​ Roma,​​ Ist. Enc. Ital.,​​ 1964, pp. 554-556;

AMEDEO​​ BENEDETTI,​​ Adolfo Bartoli e Dante, in “L’Alighieri”, a. L (2009), n. 34, pp. 153-164;

AMEDEO​​ BENEDETTI,​​ L’ultimo periodo fiorentino di Adolfo Bartoli, in “Lettere Italiane”, a.​​ LXII (2010), n. 3, pp. 464-481; ​​​​ 

AMEDEO​​ BENEDETTI,​​ Vita di Adolfo Bartoli, storico della letteratura, Pisa, Il Campano, 2013;

AMEDEO​​ BENEDETTI,​​ Adolfo Bartoli e Petrarca, in “Petrarchesca”, a. III (2015), pp. 125-136;