MASCARDI, AGOSTINO
di Amedeo Benedetti
Agostino Mascardi fu un reputatissimo erudito e poligrafo, insigne latinista, docente di retorica e di eloquenza, lettore infaticabile, tra i maggiori teorici della storiografia del Seicento. Nacque a Sarzana, il 2 settembre 1590, dal giurista Alderano, e da Faustina de’ Nobili.
Studiò a Roma al Collegio dei Gesuiti, ed entrò giovanissimo, nel 1606, nella Compagnia di Gesù.
Fu quindi inviato dall’Ordine a Parma attorno al 1612 ad insegnare retorica (dove rimase salvo brevi parentesi fino al 1617), e là iniziò la sua carriera letteraria, componendo poesie sacre in latino, ma anche rime volgari che gli costarono un pesante monito da parte dell’Inquisizione, col divieto a pubblicarne di ulteriori.
Trasferito a Modena, contravvenne però a tale proibizione, ed anche per i suoi tentativi di sistemarsi presso il cardinale Alessandro d’Este, fu espulso nel 1617 dall’Ordine dei Gesuiti.
Mascardi non si perse però d’animo, e conseguì a Roma la laurea in giurisprudenza. Iniziò quindi a profilarsi per il sarzanese un nuovo tipo di vita al seguito, in genere come segretario, di varie personalità sia politiche che religiose, con cui finì però quasi sempre con lo scontrarsi, cambiando così ripetutamente protettori e luogo di soggiorno. Così che
vita travagliatissima fu la sua, alla quale non fu estraneo il suo temperamento impulsivo e permaloso: clamorose le sue beghe col Testi e con lo Stigliani, significativi i suoi rapidi passaggi da una Corte all’altra. (U. Renda – P. Operti, Dizionario storico della letteratura italiana, Torino, Paravia, 1952, p. 707)
Fu infatti inizialmente nominato – grazie all’amicizia col conte Camillo Molza – segretario dal cardinale Alessandro d’Este, che seguì nel 1618 a Tivoli nella celebratissima Villa, dove iniziò a comporre un poemetto sulle vicende della fondazione della cittadina laziale. Interruppe però il poemetto Tiburno alla morte di papa Paolo V Borghese, avvenuta nel 1621, per scrivere un libello polemico contro il Conclave, cosa che gli procurò l’immediato licenziamento per l’imbarazzo in cui mise il cardinal Alessandro nei confronti del papa appena eletto (Alessandro Ludovisi, Gregorio XV, il cui nipote era aspramente criticato nel libello), ed il precauzionale allontanamento da Roma.
Mascardi trovò allora rifugio a Genova, dove visse esercitando la professione di avvocato, alternandola con nuovi impegni letterari: la commedia Le Metamorfosi, ed un bel panegirico per l’incoronazione del Doge Giorgio Centurione. Nel 1622 uscirono anche apprezzate Orazioni, ed i primi suoi versi importanti in latino, Silvarum libri IV (Tipografia Plantiniana di B. Moreto, Anversa), dedicati al cardinale d’Este, nella speranza di rientrare nelle sue grazie.
Una volta morto nel luglio 1623 Gregorio XV, Mascardi poté tornare a Roma, assunto questa volta al servizio del cardinale Maurizio di Savoia, figlio di Carlo Emanuele I, che già a Torino aveva avuto al suo seguito finissimi letterati quali il Tassoni e Marino. Mascardi tornò subito in auge, nominato maestro di Camera da Urbano VIII Barberini subito dopo la sua elezione, per cui scrisse Le Pompe del Campidoglio per la Santità di Nostro Signore Urbano VIII quando pigliò il possesso (1624).
Le Pompe del Campidoglio abbandonano presto l’andamento di un panegirico a Urbano per edificare piuttosto il ritratto ideale del principe nuovo, insieme laico ed ecclesiastico, secondo le aspettative di una cultura romana innervata delle istanze provenienti dal neostoicismo lipsiano e dal nuovo clima scientifico suscitato nell’autunno del 1623 dalla apparizione del Saggiatore galileiano, dedicato con abile mossa da Cesarini, a nome di tutti i Lincei, al nuovo pontefice. Le Pompe con forza sottolineano la prospettiva di un’etica dell’esercizio del potere, richiamando, con l’ausilio di Plutarco e Seneca, e tenendo sullo sfondo l’antimodello del Principe di Machiavelli, i rischi che incombono sopra chi detiene l’auctoritas: la superbia orgogliosa, l’uso privato delle ricchezze destinate alla pubblica utilità, le lusinghe dell’adulazione e la perfidia, vale a dire l’esercizio dell’astuzia ingannevole e della forza non soggetta ad alcuna legge. (E. Bellini, Mascardi, Agostino, in D.B.I., v. 71, Roma, Ist. Enc. Ital., 2008)
Il cardinale Maurizio di Savoia patrocinò a Roma l’Accademia dei Desiosi, che si riuniva in casa sua nel palazzo di Montegiordano, e della quale faceva probabilmente parte anche Giulio Rospigliosi (il commediografo che diverrà poi papa nel 1667, col nome di Clemente IX). L’erudito sarzanese conobbe e frequentò a Roma anche un altro futuro pontefice, il senese Fabio Chigi, destinato a diventare papa col nome di Alessandro VII, altra figura dominante del Barocco romano (commissionò, tra l’altro, il berniniano colonnato della basilica di S. Pietro). Effettivamente Mascardi fu in quel periodo una delle figure più attive ed originali nell’ambiente culturale romano.
Nel 1625 furono pubblicate intanto a Venezia (per i tipi di Fontana) le sue Prose volgari, trattato d’argomento etico.
Divenne a quell’epoca anche cameriere d’onore di papa Urbano VIII, Maffeo Barberini (Firenze 1568 – Roma 1644), che lo ricompensò così per alcuni scritti e versi encomiastici. Papa Barberini istituì inoltre nel 1628, proprio per Mascardi, la nuova cattedra di eloquenza all’Università La Sapienza, che il sarzanese resse per dieci anni.
In tale periodo il sarzanese fu al servizio del cardinale Carlo de’ Medici.
Nel 1629, ancora a Venezia (editi stavolta da Pelagallo), furono stampati i suoi Discorsi morali sulla tavola di Cebete tebano; Mascardi evidentemente prediligeva in quegli anni opere di carattere moralistico, dal tono lievemente ironico.
Nei suoi commenti ‘morali’ all’operetta tardo antica, sulla quale già si erano cimentati eruditi italiani e stranieri, e che tanta fortuna avrà ancora nel Settecento, Mascardi associa infatti non di rado le voci dei filosofi del passato, da Platone e Aristotele fino a Plutarco e Massimo Tirio, a quello dei poeti che in molteplici occasioni, lungo le pagine del commento, sembrano confermare con più persuasiva vaghezza le dottrine dei severi pensatori. Né l’unione della poesia con la sapienza appare a Mascardi conquista esclusiva dei grandi poeti del passato, Omero e Virgilio tra tutti, ma essa appartiene anche ai moderni, tra i quali spiccano, oltre a Dante, soprattutto Petrarca, Ariosto, Tasso, a conferma, e con qualche integrazione, del canone già delineato nelle pagine del Discorso intorno alla ‘cometa’, dove era taciuto, ad esempio, il nome dell’autore della Commedia. L’abbattimento degli argini tra le varie manifestazioni della sapienza avviene sotto il segno della ‘favola’; come infatti la Tavola di Cebete «la miglior parte della moral filosofia con una favola leggiadramente dichiara», non diversamente, osserva Mascardi, quasi ogni disciplina si affida al potere persuasivo delle favole. (E. Bellini, Agostino Mascardi tra ‘ars poetica’ e ‘ars historica’, Milano, Vita e pensiero, 2002, pp. 68-69)
Nello stesso anno vide però anche la luce un’operetta storica, di buon livello: La congiura del conte Gio. Luigi de’ Fieschi (per l’editore Scaglia, di Venezia), ripubblicata l’anno seguente con le Oppositioni e difesa alla congiura del conte Gio. Luigi de’ Fieschi (edite sempre a Venezia, ma per i tipi di Ventura). L’opera, che doveva essere la parte iniziale di una vasta storia d’Italia concepita come continuazione dell’opera del Guicciardini, era chiaramente ispirata alla Catilinaria di Sallustio, ed aveva tono didattico. In una lettera informativa inviata al Senato genovese, Mascardi scriveva: «Ho intrapresa la continuazione dell’Istoria d’Italia del Guicciardino, e, per comandamento di principe supremo, toccherò anche le materie da lui trattate negli ultimi quattro libri, per esser quelli piuttosto abbozzatura che perfetta composizione d’autore sì nominato».
L’opera impressionò peraltro moltissimo anche Paul Gondi, il futuro cardinale di Retz, che la riscrisse a Parigi nel 1639, impensierendo notevolmente Richelieu (è infatti la storia di un complotto contro l’autorità costituita, ordito nel 1547 da Gian Luigi Fieschi, discendente di una vecchia famiglia genovese, contro Andrea Doria e i suoi protettori spagnoli).
La scelta programmatica del discorso diretto, elaborato secondo norme discusse nel Modo di formar le concioni o vogliam dire le dicerie nelle istorie, chiarisce che l’orazione è […] principio formativo della narrazione delle ‘sedizioni cittadinesche’. Al Mascardi interessa attraverso la drammatizzazione oratoriale, rendere più impressivo il racconto indirizzato al bene pubblico e fondato sulla interpretazione moralistica della storiografia sallustiana e sulla mistura di eleganza stilistica e di accorto giudizio del Bentivoglio. Importa esaltare, con lo scontro passionale delle diverse concezioni politiche, con la veemenza delle parole, sia la tragicità degli avvenimenti volti a spezzare le regole della società e dello Stato bene ordinato, sia la catastrofe finale, la morte accidentale del capo della congiura Gian Luigi Fieschi, l’uccisione ad opera dei congiurati di Giannettino Doria, la confisca e la distruzione dei beni dei Fieschi, il bando e, poi, la condanna a morte dei responsabili del complotto. La drammatizzazione tragica del racconto è la forma più adeguata al compito di proclamare i principi di moralità pubblica e privata, di dignità dell’uomo, di libertà che Mascardi assegna alla storiografia. […] Sono gli excursus etico-politici, che non hanno carattere esornativo, ma, connessi profondamente alla struttura del racconto, sviluppano e concentrano i motivi ideali, a dare unità e coerenza all’intera opera, ad accentuare la tragicità della drammatizzazione investendo di un significato più vasto la congiura contro la libertà di Gian Luigi Fieschi che non è, in questa luce, un occasionale fatto di cronaca, ricordato dal Foglietta, dal Sigonio e da altri storici, ma un discorso tragico sul potere e sulla libertà, sul mondo e sulla storia come luogo della violenza e della simulazione, dominati però dalla «provvidenza non errante di Dio». […] Discorso politico sulla crisi della Repubblica come cifra del dissesto degli Stati italiani e sulle responsabilità degli stranieri, riflessione morale sulla condizione sconvolta del mondo e della storia su cui interviene il “gastigo” di Dio, La congiura è, anche, un’esaltazione dello storico “onorato” per la ricerca della “verità” e una celebrazione commossa della Repubblica. (B. Zandrino, “Agostino Mascardi”, in La letteratura ligure. La Repubblica aristocratica (1528-1797), Genova, Costa & Nolan, 1992, pp. 343-347)
A cura di Mascardi venne pubblicato nel 1630, nei Saggi accademici dei Desiosi, il discorso Dello scorruccio, dell’amico Giulio Rospigliosi.
La fama del sarzanese era tale che nel 1631 anche il Granduca di Toscana gli offrì una cattedra all’Università di Pisa. La generosa offerta però non interessò Mascardi, probabilmente convinto che nulla di meglio dell’ambiente cardinalizio romano fosse adatto al dispensargli ulteriori favori.
Nel 1636 lo studioso sarzanese pubblicò a Roma (per i tipi di Facciotti) la sua opera fondamentale, i cinque trattati Dell’arte istorica, con cui analizzava i vari problemi connessi all’attività ed alla tecnica storiografica, e l’importanza centrale che lo storico deve attribuire alla ragion di stato. Traspare nell’opera la convinzione che la storia sia un sublime esercizio oratorio. Il quarto trattato, intitolato Digressione intorno allo stile, è peraltro un vero e proprio manifesto della trattatistica barocca.
Il Mascardi vorrebbe uniformarsi all’esempio di tutta l’antichità, «ch’oggimai è passato in luogo di legge». Dichiarato il fine dell’arte storica, che è «l’insegnare a tessere convenientemente il racconto degli accidenti umani più memorabili», ne ricerca le lontane origini, raccogliendo notizie dagli storici greci e latini, nonché dai testi sacri. La sua concezione nettamente oratoria si rivela anzitutto allorché, distinti i diversi generi storiografici (effemeridi, annali, cronache, commentari, vite) discorre sulla materia dell’istoria, la quale deve essere «nobile e grande»; né mancano le norme le quali confermano il generale indirizzo moralistico e politico della storiografia secentesca. Fine dell’istoria è infatti l’utile strettamente congiunto al diletto; ma più dei racconti di guerra giova ricordare ai posteri i negozi e i consigli di Stato. (C. Jannaco, Il Seicento, Milano, Vallardi, 1963, pp. 685-686)
Tornato a Roma il cardinale Maurizio di Savoia, Mascardi si rimise al suo servizio, seguendolo nel 1637 a Genova, dove il sarzanese fu docente di rettorica.
Nel 1939 furono pubblicate a Parigi (per i tipi di Cramoisy) le Ethicae prolusiones, ancora una volta testo d’argomento etico.
Si manifestò però in quegli anni, in tutta la sua gravità, una spietata e tormentosa affezione addominale, che convinse Mascardi a tornare alla sua città natale, Sarzana, dove morì al principio del 1640.
Mascardi fu unanimemente considerato notevolissimo uomo d’ingegno, anche se, altrettanto unanimemente, carattere ambizioso e spirito eccessivamente polemico, facile al litigio, vendicativo, talvolta venale.
Ma al di là di tali aspetti negativi, che naturalmente gli attirarono malignità e scarsa benevolenza, Mascardi fu una figura di primissimo piano nell’ambiente culturale (e specialmente storiografico) del Seicento, e il suo manuale Dell’arte istorica fu, per originalità, acume interpretativo nella comprensione del processo storiografico, chiarezza di visione sui rapporti tra la storia e le altre discipline scientifiche, coscienza delle doti e qualità che deve necessariamente possedere lo storico, il maggior trattato che dette il nostro Seicento sull’argomento.
La considerazione dell’importanza del testo Dell’arte istorica rimase pressoché immutata per secoli, tanto che nel 1859 fu riedita dalla casa editrice Le Monnier, a cura tra l’altro, di un altro lunigianese: Adolfo Bartoli (Fivizzano, 1833 - Genova, 1894).
Opere principali:
Silvarum libri IV, Anversa, Tip. Plantiniana di B. Moreto, 1622;
Prose vulgari, Venezia, Fontana, 1625;
Discorsi morali sulla tavola di Cebete tebano, Venezia, Pelagallo, 1627;
La congiura di Gio. Luigi de’ Fieschi, Venezia, Scaglia, 1629;
Opposizioni e difesa alla congiura del conte Gio. Luigi de’ Fieschi, Venezia, Ventura, 1630;
Ethicae prolusiones, Parigi, Cramoisy, 1639;
Dell’arte istorica, Roma, Facciotti, 1636.
Bibliografia:
FRANCESCO LUIGI MANNUCCI, La vita e le opere di Agostino Mascardi, in “Atti Soc. Ligure di St. patria”, XLII (1908), pp. 1-638;
MASCA BETTARINI, Agostino Mascardi scrittore e teorico della storiografia nel Seicento, Verona, Tip. Operaia, 1953;
CARMINE JANNACO, Il Seicento, Milano, Vallardi, 1963;
BARBARA ZANDRINO, “Agostino Mascardi”, in La letteratura ligure. La Repubblica aristocratica (1528-1797), I, Genova, Costa & Nolan, 1992, pp. 343-346);
ERALDO BELLINI, Agostino Mascardi tra ‘ars poetica’ e ‘ars historica’, Milano, Vita e pensiero, 2002;
ERALDO BELLINI, “Mascardi, Agostino”, in Dizionario Biografico degli Italiani, v. 71, Roma, Ist. Enc. Ital., 2008.