Serra Ettore

ETTORE LUIGI SERRA​​ 

 

 

 ​​ ​​​​  ​​ ​​​​ Nasce alla Spezia il 26 Maggio1890 in una famiglia di tradizione marinara: palombari genovesi sono il babbo Antonio e il nonno paterno; la madre Palmira Danè, di ascendenze francesi, è originaria delle Cinque Terre. Qui, nella bottega di terraglie della nonna Maria Monteverde, trascorre giorni indimenticabili della prima infanzia.​​ 

 ​​ ​​​​ Nel 1898 i Serra si trasferiscono in un’altra città costiera, dove Antonio ha fondato una stazione per salvataggi marittimi: Livorno. Appena tredicenne, l’introspettivo e malinconico Ettore vi muove i primi passi nel giornalismo collaborando con la rivista «Dovere» e, due anni più tardi, con il «Corriere toscano». Al 1905 data anche la stampa della sua prima prova critica: un breve saggio sulla​​ Vita nuova​​ dantesca composto sui banchi ginnasiali sotto l’egida di Amos Parducci. Nonostante si dichiari «“malato” […] di poesia fin dalla puerizia», essenzialmente prosastici sono i cinque volumetti pubblicati in rapida successione negli anni seguenti, in cui le suggestioni decadenti-dannunziane, condivise con il cenacolo intellettuale acquartierato al labronico Caffè Bardi, sono patenti fin dai titoli:​​ Il fuoco dell’alba​​ (1906),​​ Al vento d’autunno. Musica della morte​​ (1908),​​ Sogno simbolico​​ (1909),​​ Caffè Bardi​​ (1911),​​ Vita di giovine artista​​ (1913).​​ 

 ​​ ​​​​ Iscrittosi nel 1910, anno della prematura scomparsa della madre, alla Facoltà di Giurisprudenza di Pisa (vi conseguirà la laurea nel 1913, ma in profondo lo segnerà pure il magistero umanistico di Francesco Flamini, delle cui lezioni di letteratura italiana era assiduo frequentatore), nel 1912 fa ritorno alla Spezia per sposare la concittadina Ida Lizza, che gli darà presto tre figli: Giorgio Antonio, Maria e Renato.​​ 

 ​​ ​​​​ Frequentato il corso per allievi ufficiali a Parma, a venticinque anni è in zona di guerra: dopo una breve sosta a Portogruaro, viene assegnato alla 22a​​ Divisione Fanteria sull’Isonzo in qualità di tenente e quindi comandato a Coni Zugna, sull’Adige; nel 1917, promosso capitano, passa sul fronte francese, nei dintorni di Epernay, e nel 1918 è trasferito alla​​ Gare régulatrice di ​​ Connantre; nel 1919 si sposta a Sebenico, dove l’anno seguente allestisce un’edizione della​​ Lettera ai Dalmati​​ di d’Annunzio, ancora contemplato quale modello. A Versa, sul Carso, nell’Aprile del 1916 ha luogo il fatidico incontro con il fantaccino Giuseppe Ungaretti, i cui versi «destinati a nessun pubblico», vergati su strisce di carta di fortuna e ficcati alla rinfusa in un tascapane, vengono dal «gentile» superiore premurosamente ordinati e raccolti nel​​ Porto sepolto, impresso a proprie spese in ottanta copie a Udine nel 1916.​​ 

 ​​ ​​​​ Spentisi i fuochi bellici, si impiega con il fratello Fortunato nell’azienda paterna di recuperi subacquei della città natale, fondandovi nel 1923 la Stamperia Apuana, che, causa lo scontento ungarettiano per l’edizione Vallecchi di​​ Allegria di naufragi​​ (1919), ospita il secondo, divergente e accresciuto,​​ Porto sepolto, con prefazione (frutto dei buoni uffici di Ardengo Soffici) di Mussolini, e il «quaderno» collettaneo​​ La poesia di Giuseppe Ungaretti, a cura di Serra medesimo. Ai due manufatti, pregevoli per carta, confezione e xilografie (del savonese Francesco Gamba), non faranno séguito ulteriori uscite.​​ 

 ​​ ​​​​ Spostatosi nel 1927 per esigenze connesse all’attività di «marittimo» nella cosmopolitica Istanbul («il Caravanserraglio»), la sofferta condizione di «esule» lo spinge a una fitta produzione in prosa, destinata a rimanere in parte inedita, e, soprattutto, in versi. Nel 1928 collabora con il locale «Giornale degli Italiani», pubblica presso la Stamperia dei fratelli Zellitich tre curiosi sonetti arcaizzanti contro i «misti cittadini de la Spezia» dedicati al conterraneo Roccatagliata Ceccardi (Dissimilium infida societas) e il componimento​​ L’arrisicatore​​ (già Livorno, s.d.); l’anno successivo, affranto per la recente perdita dell’amatissimo padre, affida agli stessi tipografi​​ Antologia breve, un disomogeneo florilegio di fittizi «scritti postumi». Da questo momento in poi per colui che, come il fraterno Umberto Saba di cui va intanto compulsando il​​ Canzoniere​​ del 1921, ama definirsi «uomo dell’Ottocento», la poesia rappresenterà il mezzo espressivo d’elezione: invariabilmente fedele alla tradizione nei ritmi, alieni da qualsiasi cedimento agli sperimentalismi coevi, l’autore coniuga alla prevalente ispirazione soggettiva e intimista una più inattesa vena umoristica e satirico-grottesca, con innegabile originalità di accenti.​​ 

 ​​ ​​​​ Abbandonata la Turchia per Varsavia, vi dà in luce​​ Due poesie; si sposta quindi a Parigi, pur facendo ancora imprimere a Costantinopoli nel 1930 il poema​​ L’attesa​​ e i​​ Canti dell’amore. Nella​​ ville lumière, dove fa uscire la​​ plaquette Poesie​​ (1931), resterà, arrabattandosi tra lavori saltuari di scarse ricadute finanziarie, fino al 1932, stringendovi o irrobustendovi legami con Aldo Palazzeschi, Filippo De Pisis, Alberto Tallone e Saba, che inizierà l’appassionato bibliofilo al mestiere di librario antiquario.​​ 

 ​​ ​​​​ Dopo un secondo soggiorno livornese, esausto di tanto girovagare, nell’Aprile 1934 si stabilisce nella capitale, ottenendo dal regime un incarico di​​ factotum​​ per le Edizioni Roma, animate da Franco Ciarlantini e Gioacchino Volpe, e, fra il 1937 e il 1942, per il tramite di Vittorio Cini, la presidenza dell’Ufficio Manifestazioni Artistiche e Culturali. La sincera adesione alla politica nazionalista del duce, oltreché in articoli apparsi sulla rivista «La​​ parola​​ e il libro», è palese nelle pagine dell’antologia​​ Roma nel pensiero e nel sentimento degli italiani da Dante a Mussolini​​ (Maastricht, 1934) e nei libelli di poesia civile​​ L’aratro e la spada​​ (Urbino, 1935) e​​ Britannia e Roma, edito a Genova nel 1936 in contemporanea con​​ Stambul ed altri paesi. È questa, introdotta da un’affettuosa memoria di Ungaretti, la sua prima silloge organica, contesta di rime odeporiche di impronta, pur nel classicheggiante solco rondista, fortemente personale.​​ 

 ​​ ​​​​ Artefice di azzardati recuperi navali nel Mediterraneo nei primi anni del secondo conflitto, dal 1943 la professione lo riconduce in Francia, tra Tolone e Marsiglia, dove tornerà poi regolarmente​​ per far visita al primogenito, che vi ha preso residenza e avviato a sua volta una ditta di salvataggi marittimi. Frattanto nel 1945 ha esordito come traduttore approntando, nel centenario della composizione, una versione commentata di​​ The Raven​​ di Poe (Roma; poi Milano, 1956, con uno scritto di Emilo Cecchi) cui faranno séguito l’anno successivo traduzioni per l’antologia​​ Poeti lèttoni contemporanei​​ a cura di Marta Ràsupe (Roma; poi, ridotta, Milano, 1963) e, nel 1949, ancora in tandem con la Ràsupe, quella in endecasillabi della tragedia di Rainis​​ Giuseppe e i suoi fratelli​​ (Firenze).​​ 

 ​​ ​​​​ Nel 1946 le raffinate Presses de l'Hôtel de Sagonne dell’amico Tallone ospitano a Parigi la​​ plaquette​​ monotesto​​ Calma​​ e nel 1952 il poemetto​​ Tristano e Isolda: grido e lamento di Tristano​​ (poi Genova, 1958); nel 1947 e nel 1948 vengono edite nel capoluogo ligure un paio di raccoltine liriche (Piazzetta San Matteo​​ e​​ Poesie a Roma), mentre ben quattro opere vedono il giorno in rapida successione l’anno seguente: a Roma​​ Prime poesie in versi​​ e a Modena​​ Virgulti sulla frana,​​ Scavi nel tempo. Poesie cominciate e finite​​ e, con il​​ nom de plume​​ di Giovanni Scalzo, il profilo monografico​​ Ettore Serra, vivace e polemico contributo alla critica di se stesso sulla falsariga della​​ Storia e cronistoria del Canzoniere​​ sabiana.​​ 

 ​​ ​​​​ Ripresa alla fine del decennio dimora a Roma, in più agiate condizioni economiche, vi rinsalda il sodalizio con l’allora direttore della «Fiera​​ letteraria» Vincenzo Cardarelli e con Antonio Baldini, allaccia rapporti con il quasi concittadino Giovanni Giudici e inizia a carteggiare con l’«amigo de levante (Albissola)» Angelo Barile e l’«amigo de ponente (Spotorno)» Camillo Sbarbaro: poeti tutti, tranne Giudici, in séguito fatti oggetto di penetranti attenzioni critiche. La scomparsa nel 1954, dopo lungo calvario, dell’«angelica» consorte, già presenza essenziale negli scritti anteriori, genererà la disposizione retrospettiva delle​​ elegie​​ di​​ Saper dir di sì​​ (Spoleto, 1956 [riedite in parte, con il titolo​​ Per la sposa soave,​​ nel 1963]), assecondata pure nella parca silloge di «ritratti» a tema ligustico e memoriale​​ La casa in mare,​​ pubblicata nel 1959 ancora con il​​ viatico ungarettiano​​ (Milano [poi, ampliata e con postfazione di Giorgio Caproni, Genova, 1969]), ove a testi nuovi –taluni già diffusi in rivista – si accompagnano riproposizioni di rime più antiche.​​ 

 ​​ ​​​​ Nel decennio successivo la produzione in versi, sempre nitida di chiarezza espressiva, sempre impermeabile ai modi e alle mode della poesia contemporanea e ora semmai improntata a più fonda pensosità esistenziale e ​​ percorsa da un’ansia vana di trascendenza, tra spiriti biblici e lucreziani, si incrementa per minime o più cospicue addizioni, oltre che per ennesime rivisitazioni di componimenti precedenti: al ricapitolativo​​ Serata d’addio, dall’autore ritenuto «il​​ suo​​ libro più importante» – il dedicatario ne è Ungaretti –,​​ e al​​ Dittico​​ delle​​ nipotine. Toccate in minore, usciti ​​ nel 1961 (rispettivamente Sarzana e Roma), succedono nel 1965 l’altrettanto summatica «autobiografia lirica»​​ Narciso e Fausto​​ e i versi di​​ Paola​​ (rispettivamente Siena e Genova) e nel 1966 il poemetto di ambizioni universalizzanti​​ Salmi di un paria. Mentre nasce la primavera​​ (Siena). Naufraga invece, per l’improvvisa scomparsa nel 1968 del sodale Tallone, il ‘sabiano’ progetto, già più volte accarezzato in passato, di un summatico​​ Piccolo canzoniere​​ nel quale distillare in una veste​​ ne varietur​​ la ​​ propria parabola umana e poetica (con qualche punta di prosa) in una sintesi, non strettamente diacronica, di pezzi nuovi e riforgiati: dell’abortita edizione sopravvive uno​​ specimen, datato 1967, presso la Biblioteca Nazionale di Firenze (l’opera verrà divulgata postuma, con un saggio di Angelo Barile e una premessa di Giorgio Petrocchi, dalla Fondazione torinese Mario Novaro nel 1987). Da segnalare, nel 1962, l’uscita a Firenze del solo contributo serriano alla critica d’arte:​​ Del «Cristo morto» di Giorgione visto da Marcantonio Michiel. ​​ 

 ​​ ​​​​ Nell’estrema stagione, nonostante continui a comporre e ad attendere alla maniacale revisione, soprattutto stilistica, di cose già edite; raccomandi svariate rime a una rivista organica alla corrente del «realismo lirico» quale​​ Ausonia; elegga il critico poeta Giuseppe Cassinelli a consigliere letterario e a riordinatore della sua ricchissima biblioteca; ​​ intrattenga con un altro corregionario,​​ il frate scrittore Gherardo Del Colle, conversazioni epistolari sui rispettivi versi, il disegno di riunire i​​ disecta membra​​ della propria attività lirica in un​​ corpus​​ testamentario perde progressivamente di consistenza ​​ e rarissime sono pure le stampe spicciolate di nuovi testi (uno in​​ Dragutescu. I nudi, Verona, 1971;​​ Chantal, Roma, 1972;​​ Arte poetica, Genova, 1978). Ha intanto ripreso l’attività traduttoria, procurando in tributo alla memoria di Ungaretti, appena defunto, una «interpretazione» del​​ Cimitière marin​​ di Paul Valéry presentata nel 1970 su rivista e riproposta l’anno seguente in un opuscolo (Alpignano), cui fanno séguito nel 1973 la versione della​​ Prière sur l’Acropole​​ ​​ di Ernest Renan, della quale tuttavia firma solo la​​ Nota​​ critica (ivi), e nelle imminenze della morte quella di​​ Time Long Past​​ di Percy Bysshe Shelley, che, condotta con l’amico incisore genovese Mimmo Guelfi, vedrà postuma luce nel 1981 presso la piccola stamperia artigianale di quest’ultimo: All’insegna della Tarasca. Un flebile e tardivo ma comunque grato riconoscimento ufficiale della sua disconosciuta statura di poeta, di cui ebbe a soffrire per tutta la vita, ​​ gli verrà, nel 1976, dalla terra natale con l’assegnazione del Premio Lerici Pea alla lirica​​ Resurrezione.​​ 

 ​​ ​​​​ La morte sopraggiunge il 26​​ dicembre 1980, impedendogli di vedere impressa la raccolta di testimonianze e note critiche (solo parzialmente inedite) di cui stava ultimando la messa a punto:​​ Il tascapane di Ungaretti. Il mio vero Saba. Il volume uscirà nel 1983 a Roma, grazie alla sollecitudine della figlia Maria (artefice pure del postumo​​ Piccolo Canzoniere) e in breve tempo conoscerà una notorietà ignota alle altre opere dello scrittore.

 

 ​​ ​​​​ Oltre a quelle citate nel testo, si ricordano le opere in versi​​ Breve corona. Poemetti lirici, Londra 1932;​​ Tre canti,​​ Genova 1940;​​ Il fiasco. Ditirambo di E. S., Barberino Val d’Elsa 1944 (già Costantinopoli 1929);​​ Quattro poesie, Sarzana 1981. Tra le prose memoriali,​​ i contributi​​ critici e i carteggi si segnalano​​ Ricordo di Ungaretti,​​ Roma 1951;​​ Lettere del Pascoli al tempo di Myricae,​​ Roma 1960;​​ Ricordo di amici. Per Giuseppe Zucca,​​ Cuneo 1960;​​ Classicità di Cardarelli. Sbarbaro e l’oleandro,​​ Roma 1962;​​ Tu sei quasi un sereno, in​​ Per Angelo Barile, Savona 1967, pp. 39-40; G.​​ Pascoli,​​ Lettere​​ a Mario​​ Novaro​​ e ad​​ altri​​ amici, a cura di E. S., Bologna, 1971;​​ Titta Rosa e Serra.​​ Carteggio e ricordi critici, a cura di G. Cassinelli, Savona 1973;​​ G.​​ Del​​ Colle,​​ Vespertina​​ oratio, a cura di E. S., Genova 1978;​​ Lettera a fra Gherardo​​ Del Colle, Sarzana​​ s.d. (post 1978);​​ Una poesia autografa,​​ in «Resine», n.s. (numero monografico​​ Arte e letteratura nel golfo della Spezia), XXIII (2001), 87-88, p. 120.

 

Bibliografia critica:​​ Ritratti su misura di scrittori italiani, a cura di E. F. Accrocca, Venezia 1960;​​ L’antologia dei poeti dell’ultimo secolo, a cura di G. Ravegnani e G. Titta Rosa, Milano 1963;G.Cassinelli,​​ Presenza di E. S., Savona​​ 1965;​​ Id.,​​ Invito a E. S., in «Persona», 12, 1966, pp. 27-29; G.​​ Titta​​ Rosa,​​ Poesia di E. S., in «Ausonia», XXI (1966), 6, pp. 45-47; P.​​ Montefoschi,​​ Lettura del carteggio tra Giuseppe Ungaretti e E. S. (1916-1966), in «Tempo​​ presente», 19, 1982, pp. 115-124; E.​​ Andriuoli,​​ La poesia di E. S., in «Arte​​ stampa», XXXII (1982), 4, pp. 11-18; C.​​ Maggi​​ Romano,​​ Nuove carte per l’edizione critica dell’«Allegria»: E. S. e «Il Porto Sepolto» del ’23, in «Studi​​ di​​ filologia​​ italiana«, XLII (1984), pp. 311-330; M.Pellegrino,​​ Sentimento della memoria. Il «Piccolo Canzoniere» di E. S., in «Astragalo», 18, 1988, pp. 28-30; G.​​ Cassinelli,​​ Ricognizione del «Piccolo canzoniere», in «Arte e stampa», 1, 1989, pp. 5-7; ​​ S. Guarnieri,​​ ​​ La linea ligustica, in​​ Studi in onore di Antonio Piromalli, III (Da Carducci ai contemporanei), a cura di T. Iermano e T. Scappaticci, Napoli, Edizioni scientifiche italiane, 1994, pp. 319-335; ​​ C. Lesa,​​ Ungaretti, Serra e l’edizione udinese de «Il porto sepolto», in «Le panarie», n. 111 (1996), pp. 17-22; M.​​ Barenghi,​​ Di porto in porto con Ungaretti 1923, in «Belfagor», LIII ​​ (1998), 2, pp. 189-203; G. Cassinelli.,​​ Musica e poesia di E. S., in «Resine», n.s. (numero monografico​​ Arte e letteratura nel golfo della Spezia), XXIII (2001), 87-88, pp. 115-119; G.​​ Lagorio,​​ E. S.: un desiderio d’affettuosa amicizia, ivi, pp. 121-124; B.Manzitti,​​ Ungaretti e «Il porto sepolto» a La Spezia, ivi, pp. 129-132; F.​​ Corvi,​​ «Una specie di amico piovuto dal cielo». Lettere di Umberto Saba ad E. S., in «Metodi e ricerche», n.s., XXIII (2004), 2, pp. 3-10;​​ Ead.,​​ Il porto sepolto del 1922. Storia di un’amicizia e di un libro inedito, in G. Ungaretti,​​ Il porto sepolto (1922), a cura di F. Corvi, Milano 2005, pp. 7-76;​​ Ead.,​​ E. S. e il Novecento letterario italiano: carteggi per un ritratto, (tesi di dottorato), Università degli studi di Genova, a.a. 2005-2006; L.​​ Gambetti,​​ E. S. il palombaro, in «Charta», XIX (2010), 108, pp. 58-63; S.​​ Borghetti,​​ «Un amore a lungo termine». E. S. poeta tra i poeti​​ (tesi di laurea magistrale), Università degli studi di Pisa, a.a. 2012-2013.

 

Marzia Minutelli